APERITALK DA SOPHIA
Una piacevole chiacchierata con i giovani imprenditori dello spazio di coworking di Biscegliese Sophia e dei loro ospiti, in cui Roberto Lorusso ha condiviso la propria esperienza e la propria visione sul tema del benessere organizzativo.
Dopo una veloce conoscenza reciproca, facilitata dalla consueta disposizione a cerchio, il relatore ha voluto subito sgombrare il campo da un equivoco di fondo. Il benessere organizzativo non si limita soltanto al welfare aziendale, non si traduce cioè nell’erogazione di premi o di buoni pasto. Spesso gli imprenditori credono che fare questo sia sufficiente per ottenere impegno e motivazione da parte dei propri collaboratori.
Invece, richiamando il pensiero di Luigino Bruni, possiamo affermare che il benessere organizzativo va ben oltre: riguarda la relazione che si instaura fra le persone, che parte dal “dono” che un individuo fa attraverso il proprio lavoro.
C’è dunque bisogno che in azienda si creino i presupposti di una vera e propria cultura del dare e del donarsi.
Il benessere organizzativo è quella condizione di stato che consente alle persone di darsi LIBERAMENTE totalmente all’impresa.
Un concetto affine a questa tematica e a noi molto caro, è stato ripreso durante l’incontro.
Si tratta del “bene comune”, inteso in questo caso come il contesto in cui ciascuna persona possa prosperare e migliorarsi, utilizzando tutte le proprie potenzialità. Il bene comune non è mai il risultato di una somma, ma è solo il risultato di una moltiplicazione. Per cui basta che una persona sola versi in condizioni avverse e non utili al proprio sviluppo e dunque faccia “0”, che il risultato finale della moltiplicazione fra il livello di benessere di ciascuno sarà “0”.
L’insegnamento è che il bene comune debba essere un valore desiderato da tutti e ila condizione della persona più svantaggiata è un parametro decisivo per la valutazione del benessere del gruppo o della comunità.
Naturalmente in azienda è molto difficile applicare questi principi: ci sono tantissimi ostacoli. Gli imprenditori spesso non lo capiscono, schiavi quali sono delle leggi di mercato (si legga anche: https://www.ducinaltum.it/etica-falsi-modelli-successo). Ma anche gli stessi collaboratori, di fronte ai rari imprenditori illuminati, spesso oppongono resistenza o non fanno nulla affinché questi valori del donarsi, della condivisione e del benessere collettivo all’interno di una impresa, diventino per loro dei principi guida. Difatti questi collaboratori non sempre apprezzano gli sforzi fatti in questa direzione, pensano soltanto ai premi di natura monetaria – che pericolosamente può generare una malsana competizione interna – e proprio non riescono a entrare in questa ottica. Sono schiavi delle proprie abitudini, del solito modo di portare avanti le cose, di una strana fedeltà allo standard, alla norma.
Per concludere: non potrà mai esserci innovazione e ricerca di benessere organizzativo senza la capacità di osare e di “vivere” al posto del mero sopravvivere.
Come possiamo implementare questa visione virtuosa all’interno delle nostre realtà aziendali “malate”?
Essere lievito
Semplicemente partendo da noi stessi e, con la forza dell’esempio, divenire quel lievito che cresce e contagia gli altri e che possa ambire a creare ambienti di lavoro più felici dove gli individui possano fiorire e l’azienda prosperare generando bene comune per la società intera. Solo così potremmo dare al nostro operato un significato profondo, un senso di “scopo” che renderà le nostre vite, lavorative e non, degne di essere vissute nella pienezza delle nostre capacità.
La bella serata si è conclusa con un rinfrescante aperitivo offerto da Cozinha Nomade, che ha permesso anche un proficuo scambio di battute e alimentato la conoscenza reciproca fra i partecipanti.